MONS OSCAR SARLINGA (59) vescovo emerito di Zárate-Campana in Argentina, adesso nella sua tappa missionaria in diocesi di Azul (anche in Argentina) ha avuto una considerevole esperienza nell’ambito ecumenico e interreligioso (da membro allora delle commissioni episcopali, e membro della Raoul Wallenberg International Foundation) tanto è così che ha parlato di recente sulle migrazioni, e dei rifugiati, riferendosi alle parole di Papa Francesco a LESBOS nel 2021 «FERMIAMO QUESTO NAUFRAGIO DI CIVILTÀ, IL MEDITERRANEO NON SIA PIÙ UN FREDDO CIMITERO SENZA LAPIDI» (05/12/2021). Il vescovo Sarlinga, che ha fatto degli studi di teologia e diritto canonico in Svizzera, Spagna e Roma, porge l’attenzione su evitare un “naufragio di civiltá”. Dalla Grecia, culla della cultura e della libertà del nostro mondo di oggi, le parole e gli atti papali ci hanno messo in guardia dalla crisi della democrazia e della partecipazione.
L'obiettivo è superare la «paralisi della paura» e «il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini» e dire “no, dice il Papa, «al pensiero dominante» che ruota attorno al proprio io, ai propri egoismi personali e nazionali, che diventano misura e criterio di ogni cosa».
Si sente chiaramente attraverso queste parole quanto é vero che quello che é in gioco é il futuro di tutti, e non solo di alcuni, perché , come ha detto Francesco a Lesbos, «quando i poveri vengono respinti si respinge la pace e chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose». Sono tanto essenziali le categorie di “alteritá” (giá di ordine umana, per esempio nel pensiero di Martin Buber) e cosa dire delle dimensioni sociali della caritá, nella solidaritá!. Aspetto umano e teologico nello stesso tempo. Siamo davanti a degli aspetti del pensiero cattolico (filosofico, teologico, sociale) sempre doveroso, anche per quanto riguarda il preoccupante risorgimento dei nazionalismi esacerbati nel mondo di oggi. Mons Oscar Sarlinga ci parla dei valori umani dell’Europa: “Il Papa incontró i migranti nel campo che li ospita sullì'isola greca di Lesbo, e ribadí quanto l'Europa dovrebbe praticare in veritá quei valori umani che le hanno dato fondazione a se stessa e che vuole anche esportare nel mondo con la sua cultura e le sue pratiche democratiche. «Sono qui per dirvi che vi sono vicino, per dirlo con il cuore» ha detto Francesco, e il coro cattolico del campo di Mitilene gli manifesta la gioia degli abitanti che gli danno il benvenuto. Ma non tutto é gioiosa manifestazione, si vedono anche tantissime lacrime e delle sofferenze. Sempre sensibile alla sofferenza umana, Francesco ripeté lí le parole del «caro Fratello Bartolomeo» Patriarca di Costantinopoli (Istanbul) con il quale qualche anni fa era andato nell’isola. «Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo», disse il Papa.
Parlando di alteritá, ci risulta evidente che il futuro ci metterà sempre più in contatto con gli altri, che non dobbiamo cadere nel isolazionismo, inteso come attitudine e politica di disinteressi nei confronti delle necessitá o delle vicende altrui, o delle vicende internazionali o globali, favorita da ragioni egoistiche oppure da reazioni psicologiche o da calcoli meramente politici. Non non è possibile voltare le spalle alla realtà, che è plurale e chiede di essere solidale. Per quello Papa Francesco chiese che finisca «il continuo rimbalzo di responsabilità, e ripeté guardandoli, come già aveva fatto a Cipro, «i vostri volti, i vostri occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le vostre storie e di non dimenticare i vostri drammi».
Non dimenticare i drammi dei fratelli, l’umanitá ci accomuna. Che trionfi la solidarietá e non “il suono delle campane”, nel senso di “Per chi suona la campana”, che allude ad un verso del poeta John Donne ( «And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee»).
Che suoni l’ora della Fratellanza.
Anche la pandemia ci ha fatto capire che una crisi umanitaria riguarda tutti, che siamo tutti sulla stessa barca, ma «mentre si stanno faticosamente portando avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa, pur tra molti ritardi e incertezze, sembra muoversi nella lotta ai cambiamenti climatici,
Molte cose sono cambiate dalla visita di cinque anni prima. Il Papa ringrazia «i tanti volontari e quanti a ogni livello – istituzionale, socia
IL PAPA: «CARA GRECIA, SEI LA MEMORIA DELL'EUROPA, DIO CI HA CREATI LIBERI»
04/12/2021 Appena giunto ad Atene, Francesco fa un discorso tutto politico. Per mettere in guardia dalla crisi della democrazia e della partecipazione. E riscoprire un impegno per il bene comune che tuteli i più deboli, l'ambiente, la vita, la partecipazione. L'Europa, dice, non sarebbe diventata quel che è senza la lezione che viene da queste terre
Ma oggi, ovunque, si constata un arretramento della democrazia, uno scetticismo democratico, un passaggio dal partecipare al parteggiare. Si rifà a De Gasperi, al suo discorso del 1949 valido anche oggi: «Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale». In questa terra dove l’Acropoli spinge a guardare verso l’Alto e il mare verso l’altro, siamo chiamati a riscoprire la vera politica, a ridare forza alla democrazia che richiede «la partecipazione e il coinvolgimento di tutti e dunque domanda fatica e pazienza. È complessa, mentre l’autoritarismo è sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti». La partecipazione, però, è «un’esigenza fondamentale; non solo per raggiungere obiettivi comuni, ma perché risponde a quello che siamo: esseri sociali, irripetibili e al tempo stesso interdipendenti».
La politica è cosa buona, ma la sua forza non sta nella ricerca ossessiva di popolarità, nella sete di visibilità, nella proclamazione di promesse impossibili o nell’adesione ad astratte colonizzazioni ideologiche. Piuttosto bisogna riscoprirla come «arte del bene comune. Affinché il bene sia davvero partecipato, un’attenzione particolare, direi prioritaria, va rivolta alle fasce più deboli». «Aiutiamoci», chiede il Papa, «a passare dal parteggiare al partecipare; dall’impegnarsi solo a sostenere la propria parte al coinvolgersi attivamente per la promozione di tutti. Dal parteggiare al partecipare. È la motivazione che ci deve sospingere su vari fronti: penso al clima, alla pandemia, al mercato comune e soprattutto alle povertà diffuse. Sono sfide che chiedono di collaborare concretamente e attivamente».
Lo strumento è quello di un multilateralismo «che non venga soffocato da eccessive pretese nazionaliste. Ne ha bisogno la politica, per porre le esigenze comuni davanti agli interessi privati. Può sembrare un’utopia, un viaggio senza speranza in un mare turbolento, un’odissea lunga e irrealizzabile. Eppure il viaggio in un mare agitato, come insegna il grande racconto omerico, è spesso l’unica via. E raggiunge la meta se è animato dal desiderio di casa, dalla ricerca di andare avanti insieme». Plaude «all'Accordo di Prespa”, firmato tra questa Repubblica e quella della Macedonia del Nord» che è stata possibile proprio praticando questa buona politica.
E parla dell’ulivo, simbolo della fertilità di queste terre e albero che accomuna «terre diverse che si affacciano sull’unico mare. È triste vedere come negli ultimi anni molti ulivi secolari siano bruciati, consumati da incendi spesso causati da condizioni metereologiche avverse, a loro volta provocate dai cambiamenti climatici. Di fronte al paesaggio ferito di questo meraviglioso Paese, l’albero di ulivo può simboleggiare la volontà di contrastare la crisi climatica e le sue devastazioni». Ricorda il diluvio universale e la colomba che torna «da Noè portando “nel becco una tenera foglia di ulivo”. Era il simbolo della ripartenza, della forza di ricominciare cambiando stile di vita, rinnovando le proprie relazioni con il Creatore, le creature e il creato. Auspico in tal senso che gli impegni assunti nella lotta contro i cambiamenti climatici siano sempre più condivisi e non siano di facciata, ma vengano seriamente attuati. Alle parole seguano i fatti, perché i figli non paghino l’ennesima ipocrisia dei padri».
E non può dimenticare i migranti, alcune isole di questo Paese che «ha visto in alcune sue isole approdare un numero di fratelli e sorelle migranti superiore agli abitanti stessi, accrescendo così i disagi, che ancora risentono delle fatiche della crisi economica. Ma anche il temporeggiare europeo perdura: la Comunità europea, lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune volte appare bloccata e scoordinata. Se un tempo i contrasti ideologici impedivano la costruzione di ponti tra l’est e l’ovest del continente, oggi la questione migratoria ha aperto falle anche tra il sud e il nord».
Come ha fatto a Cipro, anche qui, esorta a «una visione d’insieme, comunitaria, di fronte alla questione migratoria, e incoraggiare a rivolgere attenzione ai più bisognosi perché, secondo le possibilità di ciascun Paese, siano accolti, protetti, promossi e integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità. Più che un ostacolo per il presente, ciò rappresenta una garanzia per il futuro, perché sia nel segno di una convivenza pacifica con quanti sempre di più sono costretti a fuggire in cerca di casa e di speranza. Sono i protagonisti di una terribile moderna odissea». E al Papa piace ricordare che «quando Ulisse approdò a Itaca non fu riconosciuto dai signori del luogo, che gli avevano usurpato casa e beni, ma da chi si era preso cura di lui. La sua nutrice capì che era lui vedendo le sue cicatrici». Esorta a trasformare «in audace opportunità ciò che sembra solo una malcapitata avversità!».
Una avversità, vissuta da tutto il mondo è la pandemia che ci «ha fatti riscoprire fragili e bisognosi degli altri. Anche in questo Paese è una sfida che comporta opportuni interventi da parte delle Autorità – penso alla necessità della campagna vaccinale – e non pochi sacrifici per i cittadini. In mezzo a tanta fatica si è però fatto strada un notevole senso di solidarietà, al quale la Chiesa cattolica locale è lieta di poter continuare a contribuire, nella convinzione che ciò costituisca l’eredità da non perdere con il lento placarsi della tempesta».
E proprio in questa che è la terra di Ippocrate, Francesco parla del giuramento di Ippocrate e dell’impegno a salvaguardare la vita. «Va sempre privilegiato il diritto alla cura e alle cure per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani, non siano mai scartati».
Gli anziani stanno diventando «i privilegiati per lo scarto», ma il Papa sottolinea, invece, che«la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata».
Torna a soffermarsi sulla cultura del «rispetto». Torna a parlare di ecumenismo e di fraternità in Cristo e del messaggio che, come aveva esordito all’inizio, orienti verso l’Alto e verso l’altro, che alle seduzioni dell’autoritarismo risponda con la democrazia; che all’indifferenza individualista opponga la cura dell’altro, del povero e del creato, cardini essenziali per un umanesimo rinnovato, di cui hanno bisogno i nostri tempi e la nostra Europa».
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